I volti delle emozioni nella sclerosi multipla

Se diciamo sì a un singolo momento,

affermiamo non soltanto noi stessi,

ma l’intera esistenza.

Friedrich Nietzsche

 

La sclerosi multipla è una malattia cronica e degenerativa con decorso imprevedibile e che può portare a diversi problemi fisici, cognitivi ed emotivi.
Se da una parte esistono delle terapie farmacologiche in grado di “tenere a bada” l’evolversi dei sintomi, dall’altra è importante prendersi cura dell’impatto emotivo che la SM ha dal momento in cui arriva la diagnosi.
La diagnosi rappresenta un evento fortemente stressante che obbliga la persona a ripensare alla sua vita precedente e a riorganizzare la sua vita futura. Il senso di incertezza e di imprevedibilità che la diagnosi porta con sé, oltre all’assenza di una cura risolutiva, portano spesso la persona con SM e la sua famiglia a vivere un profondo senso di impotenza, accompagnato dalla paura della malattia stessa.
La paura può talvolta trasformarsi in ansia, anche a seguito di ricadute, o quando il grado di disabilità peggiora o non migliora dopo una ricaduta.
Possono insorgere pensieri negativi che riecheggiano nella mente imprigionandola in una percezione costante di pericolo.
Alcune persone possono sentirsi in colpa, e, nella ricerca di un senso, possono pensare che l’aver condotto la propria vita in un certo modo le abbia portate a sviluppare la SM.
Possono succedersi emozioni quali, la rabbia verso il destino, gli altri o se stessi per quello che sta accadendo e per l’impossibilità di fare tutto quello che si vorrebbe, la vergogna di mostrarsi “malati” per il timore di essere giudicati o di ricevere sguardi “pietosi”, o anche l’invidia verso chi riesce a fare quello che la persona ha perso.
Possono esserci momenti in cui la persona preferisce negare di avere la SM, talvolta facilitata dall’invisibilità dei sintomi, o momenti di tristezza e dolore per tutto quello che ha perso.
La cronicità della SM può portare anche a episodi depressivi spesso difficilmente riconoscibili perché comuni ai sintomi della SM, quali l’insonnia o l’ipersonnia, la difficoltà di concentrazione e la stanchezza.
Diversi studi hanno dimostrato come il rischio di sviluppare un disturbo depressivo sia legato a quanto la persona sente di poter ricevere aiuti esterni, a come interpreta la diagnosi, al livello di stress percepito al momento della diagnosi, alla presenza di recidive, alla capacità di riconoscere e gestire le emozioni e in presenza di forme progressive.
Tutto questo richiede una presa in carico globale che faccia sentire la persona al centro di una rete di supporto.
La sezione AISM di Viareggio offre un servizio di supporto psicologico, in cui le persone possono dar voce ai propri vissuti emotivi e condividere con gli altri le strategie migliori per affrontarli. Diventa così possibile accogliere i bisogni che ciascuna emozione comunica e riflettere su modi alternativi e più funzionali di pensare. E’ possibile pensare insieme e sciogliere dubbi e domande, trovare risposte a domande circa il proprio futuro negli sguardi e nelle storie che gli altri raccontano e in cui la persona può rispecchiarsi. Si possono creare dei ponti sul futuro attraverso le esperienze di chi convive con la SM da diversi anni, per gettare una speranza anche al proprio futuro.
Accrescere l’abilità emotiva e favorire la scelta di strategie di coping efficaci sono dunque due obiettivi principali del gruppo d’incontro, in cui ognuno, con coraggio, porta la propria testimonianza, condividendo parti di sé e della propria vita.
Tutte queste emozioni hanno infatti dei volti e dei nomi. AISM è fatta proprio di questo: di persone che mettono impegno e passione in quello che fanno e sono pronte a cominciare e ricominciare sempre nuove sfide, ad accogliere le novità con coraggio e talvolta anche con paura, sfidando i propri limiti.
AISM è una comunità in cui puoi sentirti parte e che ti coinvolge e avvolge in un abbraccio che senti sempre più famigliare. Per alcuni è un punto di riferimento, per altri un rifugio in cui andare quando si sentono smarriti, o un volto amico a cui chiedere un consiglio, per altri ancora il sentirsi parte di un gruppo ricreativo e la possibilità di sentirsi all’interno di una rete sociale in cui le maglie non sono mai troppo strette per entrare, né per uscire. Può rappresentare soltanto un’occasione in cui la persona può sfogare le proprie ansie, frustrazioni o la propria rabbia, per poi scomparire nel nulla. Può essere un momento in cui condividere con gli altri le proprie conquiste, o l’opportunità per chiedere informazioni o condividere domande troppo pesanti da portare da soli.
AISM ha a che fare con qualcosa di materno e allo stesso tempo con qualcosa di paterno che è in ciascuno di noi e che ciascuno di noi mette al servizio dell’altro, ognuno nel proprio unico, personale e prezioso modo.

https://www.aism.it/struttura/sezione_provinciale_aism_lucca/settimana_nazionale

 

Psiche e cibo

La ricerca di cibo rappresenta un impulso di sopravvivenza che risponde a numerosi bisogni: oltre ad avere una funzione plastica, energetica e di termoregolazione, rappresenta un mezzo di comunicazione e relazionale, contribuisce alla costruzione dell’identità personale, sociale e culturale e permette il mantenimento di uno stato di salute della persona.

A livello anatomico, l’apparato digerente è strettamente connesso con il sistema emozionale, per cui il ricorso a determinati cibi ha un effetto sul sistema limbico (ovvero, il sistema emozionale) e viceversa.

Così, l’ingestione di comfort food (cibi confortanti) appare come un tentativo di ridurre gli effetti negativi dello stress cronico, attraverso la produzione di serotonina, un antidepressivo endogeno prodotto per il 95% dall’intestino. Il ricorso a determinati alimenti è legato al tentativo di ridurre specifiche emozioni, quali, la tristezza e la solitudine attraverso il ricorso a cibi dolci, l’ansia attraverso cibi salati, la rabbia e la frustrazione attraverso cibi croccanti. Se questi comportamenti possono portare inizialmente ad una sensazione piacevole, subito dopo emergeranno emozioni quali sensi di colpa e vergogna, che minano l’autostima e il benessere globale della persona.

Anche alcuni schemi mentali rigidi, quali “tutto o niente”, e la sensazione di controllo che si attua sul cibo, come in alcuni regimi dietetici restrittivi, incrementano un rapporto disregolato con il cibo. Viene  persa la naturale capacità che il corpo ha di riconoscere quando ha fame e di cosa ha bisogno di nutrirsi.

Talvolta il cibo può anche rappresentare un comportamento autopunitivo o etero punitivo, o l’espressione di un disagio relazionale. Il cibo può trasformarsi in un sostituto dell’amore, in un tentativo di nutrire il proprio bambino interiore maltrattato, di lenire ferite passate. In questo modo si forma un circolo vizioso in cui non riusciamo a dare uno spazio autentico all’amore e all’intimità.

Le abbuffate compulsive possono rappresentare la necessità di riempire un vuoto relativo ad altri ambiti della propria vita, o un modo per alleviare uno stato di tensione attraverso il piacere immediato che dà il cibo.

Sono dunque molte le variabili che concorrono a rendere complessa la relazione con il cibo, entrando in essa in gioco fattori genetici, biologici, psicologici e ambientali.

 

Differenze tra fame fisica e fame emotiva

Esistono caratteristiche in grado di permetterci di distinguere quando la fame è emotiva, e dunque, non fisiologica, e quando è fisica (Gremigni e Letizia, 2011):

Fame emotiva Fame fisica
E’ improvvisa. E’ graduale, dà progressivi segnali.
E’ desiderio di un determinato alimento. E’ aperta a cibi diversi. Si possono avere preferenze per alcuni cibi, ma sono flessibili.
Inizia in bocca e nella mente. Nella bocca sentiamo il desiderio di degustare certi alimenti, mentre il pensiero del cibo desiderato occupa prepotentemente tutta la mente. Inizia nello stomaco (brontolio, senso di vuoto, dolore).
E’ urgente. E’ paziente.
E’ accompagnata da un’emozione spiacevole e da una situazione di disagio. E’ conseguente a una necessità fisica. Si può avere un capogiro o un abbassamento di energia.
E’ un comportamento alimentare automatico o distratto. Comporta scelte deliberate e consapevoli.
Si continua a mangiare anche dopo un senso di pienezza. Termina quando ci si sente pieni.
Dopo aver mangiato emerge un senso di colpa perché ci accorgiamo che non avevamo fame. Si comprende che mangiare è necessario.

 

 Possibili soluzioni

I disturbi dell’alimentazione e della nutrizione necessitano di un approccio integrato che vada ad intervenire su tutti i livelli che contribuiscono all’insorgenza e al mantenimento del disturbo.

Così, anche l’incremento delle patologie legate all’eccesso di peso corporeo obbliga il sistema sanitario a fornire una risposta più complessa e articolata di fronte ad un problema che coinvolge non solo il corpo, ma anche la mente.

La cura non può dunque consistere solo nell’applicazione di un regime alimentare, ma è necessario anche intervenire sul comportamento, sui pensieri, sul potenziamento delle  capacità di gestione del proprio rapporto con il cibo, sul riconoscimento e sulla gestione delle emozioni che inducono a ricorrere al cibo.

Il fallimento delle diete nel trattamento del sovrappeso e dell’obesità ha messo in luce l’importanza di un intervento multidisciplinare che comprenda la figura di uno psicoterapeuta al fine di modificare, in modo stabile e duraturo, i comportamenti alimentari.

La psicoterapia si avvale di tecniche umanistiche e bioenergetiche, quali:

  • Esercizi di radicamento, volti a riconnettere la persona al corpo, al presente, alla realtà, a ciò che accade qui e ora.
  • Esercizi di auto-appoggio ed etero-appoggio, come metafora esistenziale della necessità di imparare ad appoggiarsi su se stessi e sugli altri;
  • Esercizi di contenimento-appoggio volti ad esercitare un’azione di avvolgimento protettivo che contemporaneamente definisce i confini corporei ;
  • Esercizi sulla postura volti a modificare l’immagine corporea;
  • Esercizi di respirazione, per accedere alle emozioni e all’identità, richiamando parti come il lasciarsi andare e il protendersi al mondo, nuclei tematici chiave nei disturbi alimentari.
  • Esercizi di padronanza ed espressione di sé al fine di recuperare la capacità di esprimere ciò che si sente ed esercitare un controllo consapevole di tale espressione, per rendere efficace, economica e appropriata l’espressione.
  • Tecniche di massaggio contenitivo-affettivo, volte a riconsegnare al corpo uno spazio e un vissuto piacevole, andando contemporaneamente a lavorare su schema e immagine corporee.
  • Visualizzazioni guidate, che agiscono sulla plasticità dei centri emozionali cerebrali, stimolandoli nell’evocazione di emozioni piacevoli che soppiantano quelle negative, impedendo così che queste ultime si riversino sul corpo. Hanno inoltre la caratteristica di essere un metodo meno ansiogeno per entrare in contatto con il proprio mondo interiore. In questo modo la persona può apprendere un nuovo modo con cui relazionarsi e prendersi cura di sè.
  • Monitoraggio alimentare, per individuare quali fattori influenzano la relazione con il cibo.
  • Tecniche introspettive di psicologia umanistica e trans personale che permettano di intervenire sui livelli: corporeo, emotivo, mentale e spirituale simultaneamente, riconsegnando così integrità all’identità. Attraverso queste tecniche si aiuta la persona a comprendere meglio se stessa e gli altri, permettendo così al sé di nutrirsi e di manifestarsi.
  • Mindful eating. Mindfulness significa prestare intenzionalmente attenzione a ciò che sta accadendo ed in maniera non giudicante. Nell’alimentazione ci permette di utilizzare tutti i nostri sensi, per essere totalmente presenti quando gustiamo il cibo. La mindful eating aiuta a: riconoscere i segnali di fame e sazietà; comprendere di cosa siamo realmente affamati; non giudicare il cibo; diminuire la preoccupazione per il proprio peso e la forma del proprio corpo (credenze rigide sul sé); unire la mente al corpo; recuperare il piacere connesso al cibo.
  • Arte terapia e musicoterapia che permettano alla persona di utilizzare il proprio potenziale creativo ed espressivo, riscoprendo così nuove possibilità comunicative, risorse ed autenticità.
  • Danzaterapia e biodanza: attraverso il movimento non solo il corpo viene riscoperto e vissuto nelle sue molteplici funzioni e significati, ma vengono percepiti anche i confini, il “dentro” e il “fuori”, nuclei patologici dei disturbi alimentari.
  • Training autogeno: permette di entrare in contatto con il proprio corpo in maniera non giudicante, di conoscerlo e trarne beneficio.

 

Accanto a queste tecniche può essere utile adottare alcune strategie per migliorare la relazione con il cibo. Di seguito ne vengono elencate alcune:

  1. Identifica quali pensieri, emozioni e circostanze esterne ti inducono a ricorrere al cibo e concentrati su modalità alternative per affrontarli.
  2. Accogli , accetta e apprezza qualsiasi emozione come fonte di conoscenza interiore e bussola verso il comportamento.
  3. Mangia seduto a tavola. Può aiutarti metterti un post-it “Siediti” attaccato al frigorifero.
  4. Mangia lentamente e consapevolmente, focalizzandoti sul cibo e apprezzando il sapore di ogni boccone. Porta l’attenzione ai profumi del cibo, alla sua consistenza, al gusto, fino ad assaporarne ogni singolo dettaglio. Mangiare lentamente consentirà anche al tuo stomaco di portare alla mente il segnale di sazietà, così che il corpo possa cibarsi in modo corretto.
  5. Impara a tollerare la fame e chiediti se è fame o desiderio di cibo. Nel caso in cui ti rendessi conto che non è fame ma desiderio di cibo e senti l’urgenza di assecondarlo puoi distogliere l’attenzione facendo altre attività e successivamente chiederti cosa ti induceva a ricorrere al cibo.
  6. Cerca di non fare altre attività mentre mangi (es. guardare la TV, leggere…). Questo ti permetterà di ascoltare il tuo corpo mentre mangi e di assaporare il gusto e l’odore del cibo.
  7. Mangia a tavola: evitare di mangiare in luoghi diversi permette alla tua mente di non associare altri luoghi al cibo, evitando così di ricorrere al cibo senza una reale fame fisica.
  8. E’ consigliabile fare la spesa a stomaco pieno, in base ad una lista, portando con te il denaro contato. Scegli gli alimenti da comprare cercando di sentire con il corpo quello di cui hai bisogno. Soffermati ad immaginarli, fino a pregustarli, e a sentire come risponderebbe tutto il corpo.
  9. Non preparare il cibo quando hai fame. Questo ti consente di non spilluzzicare mentre cucini e di preparare i piatti con più tempo, scegliendo in base a ciò che vuoi davvero e non a ciò che è più veloce da fare.
  10. Rendi il cibo appetibile a tutti i sensi, così da sentirti soddisfatto. La relazione con il cibo è intimamente legata al piacere, così che possiamo sentirci pienamente sazi solo quando ci sentiamo anche soddisfatti e gratificati da quello che abbiamo mangiato. Un cibo insipido o poco gustoso ci induce a mangiare altro anche quando non servirebbe.

 

Bibliografia

Ciccolini, L., & Cosenza, D. (2015). Il trattamento dei disturbi alimentari in contesti istituzionali. Milano: Franco Angeli.

Deganis, A. (2005). I disturbi alimentari: un progetto integrato comunitario. Milano: Franco Angeli.

Gordon, R. A. (1990). Eating disorders. Anatomy of a social epidemic. Blackwell Publishers Ltd, Oxford (trad. it. Anoressia e bulimia. Anatomia di un’epidemia sociale, Raffaello Cortina, Milano, 2004).

Gremigni, P., & Letizia, L. (2011). Il problema obesità. Manuale per tutti i professionisti della salute. Santarcangelo di Romagna: Maggioli.

Luzzato, P. C. (2009). Arte terapia. Una guida al lavoro simbolico per l’espressione e l’elaborazione del mondo interno. Assisi: Cittadella.

Marucci, S., & Dalla Ragione, L. (2007). L’anima ha bisogno di un luogo. Disturbi alimentari e ricerca dell’ identità. Milano: Tecniche Nuove.

Montecchi, F. (2009). Il cibo-mondo, persecutore minaccioso. Milano: Franco Angeli.

Payne, H. (1990). Creative movement & dance in groupwork. Winslow Press Limited,U.K. (trad. it. Danzaterapia e movimento creativo, Erickson,Trento,1997).

Rolla, E., & Bossolasco, M. V. (2006). Perdo peso. Un programma educativo cognitivo-comportamentale. Milano: Gribaudi.

Ruggieri, V., & Fabrizio, M. E. (1994). La problematica corporea nell’analisi e nel trattamento dell’anoressia mentale. Roma: Edizioni Universitarie Romane.

Ruggiero, G. M., & Sassaroli, S. (2014). I disturbi alimentari. Bari: Laterza.

 

Gravidanza e Coronavirus: aspetti psicologici

La gravidanza è un evento che comporta cambiamenti psichici e fisici nella donna, oltre che cambiamenti nella coppia e nelle rispettive famiglie d’origine. L’essere madre modifica ed amplia la propria identità femminile e arricchisce il proprio mondo interiore di fantasie, sogni, speranze, ma anche angosce e paure.
Alcuni conflitti possono riemergere e trovare una risoluzione, altri possono nascere con l’arrivo della notizia della gravidanza. La donna si trova a vivere al contempo i cambiamenti del suo corpo, che la costringono ad una rivisitazione della sua immagine corporea, e i cambiamenti delle sue relazioni.
I sentimenti che si provano di fronte alla scoperta di essere incinta possono essere contrastanti, così come durante tutto l’arco della gravidanza. La maggior sensibilità può far sentire la donna più vulnerabile e la storia di vita della donna e della coppia possono creare elementi protettivi o di rischio in questo delicato momento, rappresentato dalla gravidanza.
Il livello di stress percepito è connesso anche al livello di self efficacy percepito, a quanto, cioè, i genitori si sentono competenti nel loro ruolo. In questo giocano un ruolo importante le aspettative che ciascuna persona ha su di sé: quanto più sono elevate, tanto più aumenta il rischio di non sentirsi “efficaci”.
Allo stesso tempo, anche l’aiuto da parte di familiari e amici contribuisce a ridurre lo stress percepito e ad aumentare il livello di self efficacy.
Tutto si arricchisce di complessità, a cui si aggiunge la complessità di questo momento che stiamo vivendo, in cui tutto sembra scandito dai ritmi e le imposizioni del coronavirus.
Il coronavirus, un evento  a cui le future madri e i futuri padri si possono sentire impreparati, impotenti, vulnerabili.
Alle domande e alle preoccupazioni che la gravidanza può far sorgere si aggiungono quelle legate alle incertezze di questo momento: quali conseguenze può portare al nascituro? Potrò allattare se contraggo il virus? Ci sarà qualcuno con me al momento del parto? Ce la farò dopo il parto? Potrò ricevere l’aiuto dei miei cari? Potrò tornare a lavoro? Queste sono solo alcune domande che aprono a storie, emozioni e significati diversi per ciascuna donna.
Non essendoci precedenti presenti in memoria di questo momento di pandemia, è difficile anche attingere a risorse comunitarie,normalmente invece in grado di fornirci risposte e strumenti certi o quantomeno rassicuranti. Vengono meno quindi i punti di riferimento e questo fa sì che si amplifichino ansie, incertezze e un profondo senso di solitudine. Possono emergere sensi di colpa legati al mettere al mondo un figlio proprio in questo momento, o la paura di arrivare all’ennesima delusione dopo i molteplici tentativi fatti in precedenza.
La complessità di tutti questi vissuti richiede di essere esplorata e abitata, anche in uno spazio congiunto con il partner e con uno psicologo in grado di restituire dignità a quelle domande e a quei vissuti, senza che siano appiattiti a facili rassicurazioni. Ciascuna domanda, come ciascun vissuto emotivo, contiene una parte di te, che richiede di essere consapevolizzata, espressa e integrata con le altre, molteplici sfumature e risorse della tua identità.
Per questo quello che voglio proporre non è una facile risoluzione di questa complessità, ma alcuni modi per ritrovare una sensazione di presenza e di guida nella e della vostra vita.
Accanto a questo, una piccola meditazione (che può essere fatta in qualsiasi epoca gestazionale) che possa favorire il ritrovo di momenti di calma e connessione con il proprio piccolo/a.

  • Scegli al massimo un momento al giorno per informarti e solo da fonti autorevoli: il tuo bambino/a è in grado di percepire le tue emozioni. La sovraesposizione a immagini, notizie e video legate al coronavirus, produce angoscia e uno stato di allarme che hanno un impatto negativo sul nascituro.
  • Trasforma il periodo di isolamento in un momento di cura e connessione profonda con il tuo bambino/a. Ritagliati uno spazio di tempo per coccolarti e coccolare il tuo bambino/a attraverso auto massaggi con creme o oli, o massaggi dal partner.
    Se ti è possibile fai dei bagni caldi con oli profumati per riprendere un contatto piacevole con il tuo corpo.
    L’acqua, con il suo contatto e i suoi suoni, è in grado di calmare la mente e richiamare quell’elemento primordiale in cui tu stessa eri immersa: il liquido amniotico, fungendo così da elemento di connessione con il tuo piccolo/a.
    Fai esercizi di rilassamento, respirazione e yoga. Le emozioni positive suscitate da queste attività, nutriranno il benessere del tuo bambino/a e contribuiranno ad uno sviluppo sano ottimizzandone i potenziali.
  • Isolamento non significa essere soli: condividi le tue preoccupazioni, crea momenti di svago con le persone che ami attraverso chiamate, videochiamate e qualsiasi altra modalità ti permetta di sentirti in contatto con loro. Prendi questo momento come un’opportunità per dare valore ai legami e a ciò che era diventato scontato, sapendo che tornerà il momento in cui potrai riabbracciare vis a vis le persone a te care, dando un significato più profondo a quegli abbracci, con un sentire più pieno.
  • E’ normale avere paura. Sai che hai una piccola creatura da proteggere, ripeti a te stessa che stai facendo del tuo meglio, ogni giorno. E’ possibile che talvolta tu possa sentire il desiderio di piangere, farlo permetterà a ciò che senti di uscire, per poi tornare a centrarti sulle attività che ti rassicurano e ti fanno stare bene. Ricordati che puoi controllare l’intensità delle tue emozioni attraverso il tuo respiro, allungando il tempo dell’espirazione, e quando ne avrai abbassato l’ intensità, potrai chiederti quale bisogno ti comunicano e cosa puoi fare per soddisfarlo.
  • E’ possibile che tu possa sentire sentimenti contrastanti quali gioia e tristezza.
    Accogli entrambi, senza respingere l’emozione che pensi non “debba” esserci; ogni emozione è preziosa, in quanto custodisce un tuo bisogno e una parte di te. Ascoltala e chiediti: “cosa mi sta comunicando?”. Non ci sono emozioni giuste o sbagliate, la complessità dei cambiamenti che stai vivendo richiede la presenza di più emozioni, anche in contrasto l’una con l’altra.
  • Concediti di sbagliare senza essere troppo severa con te stessa. Il percepirsi genitori inizia già dalla gravidanza, attraverso tutte quelle azioni quotidiane che facciamo che hanno a che fare con il piccolo/a, dal nutrirsi, al parlare con il bambino, al ricordarsi di prendere vitamine e molto altro. Ogni giorno è possibile che non venga fatto tutto in modo “corretto”, bene, sperimenta fin da adesso la possibilità di sbagliare, il tuo essere fallibile, come parte integrante del tuo essere genitore, del tuo essere umano. Senza quella parte infatti, non sarebbe possibile nessun contatto, neppure con il tuo bambino/a.
  • Dona una parte del tempo che hai a disposizione alla gravidanza, per informarti sulla gestazione, l’allattamento, seguire corsi pre-parto on line e preparare tutto quello che ti occorrerà.
  • E’ normale essere preoccupati per il lavoro. Concentrati su ciò che puoi fare un giorno alla volta, senza andare troppo oltre. Prova a pensare a modalità alternative per svolgere il tuo lavoro anche da casa. Concentrati su ciò che hai e che puoi avere, piuttosto che rimuginare su ciò che non puoi più fare. Trova nuovi stimoli e nuovi interessi, coltivali e nota se possono diventare anche produttivi in termini economici. Tutto ciò che è immaginabile è creabile, e dunque, possibile.
  • Rafforza il tuo sistema immunitario coltivando le emozioni piacevoli con attività per te gratificanti. Nutrirsi bene non significa farlo solo con il cibo, ma anche attraverso tutto quello che facciamo. Fai esercizio fisico per consentire al corpo di rimanere in forma e scaricare le tensioni.
  • Riposati adeguatamente. Agevola un buon sonno con una tisana, un bagno caldo, un massaggio o una musica rilassante.
  • Mantieni per quanto possibile la tua routine: ancorarsi a ciò che è certo, noto e prevedibile, ristabilisce una sensazione di sicurezza.
  • Canta, ridi, balla e parla di tutto ciò che ti fa sorridere e ti dona emozioni piacevoli che, oltre a nutrire te, nutriranno anche il tuo piccolo/a.
  • Àncorati al qui e ora, a quello che stai facendo con tutto il corpo e tutta la mente, così che tu possa sentire che tu e il tuo bambino siete vivi, al sicuro, nonostante tutto.

 

Video di Meditazione in gravidanza:
rilassamento e connessione con il proprio piccolo/a.

CORONAVIRUS: strategie per fronteggiare lo stress e gestire le reazioni emotive

In questo momento di emergenza è importante attivare le nostre risorse di resilienza di fronte al coronavirus,  un trauma che coinvolge l’umanità intera. Accanto all’emergenza  economica e sanitaria, c’è il trauma psicologico, che sconvolge la nostra routine e le nostre certezze, minaccia la scomparsa dei nostri cari e ci mette in isolamento.
E’ allora importante fare chiarezza su quali strategie possono aiutarci ad affrontare questo momento e possono prevenire disturbi futuri, primo fra tutti, il disturbo da stress post traumatico.
Di seguito elenco alcuni suggerimenti utili ad affrontare il trauma COVID19:

  1. Scegli al massimo due momenti della giornata (lontano dal riposo notturno) per informarti, usando solo fonti autorevoli.
  2. Segui le norme igieniche attenendoti esclusivamente a quelle consigliate dal Ministero della Salute.
  3. Paura, agitazione, rabbia, irritabilità, solitudine, confusione o senso di colpa sono reazioni normali. Parlarne con qualcuno di cui ti fidi può farti sentire meglio. Se l’intensità dell’emozione fosse molto alta fai il seguente esercizio di respirazione per 5-10 minuti: inspira per 2 secondi ed espira per 4 secondi, inspira per 3 secondi ed espira per 6 secondi e così via fino a quanto sei è in grado di proseguire, facendo attenzione a svuotare bene i polmoni durante l’espirazione.
  4. Mantieni per quanto possibile le tue abitudini ordinarie nel rispetto delle norme. Il fare allenta le tensioni, e la routine manda un segnale di controllo al cervello. Se ad esempio eri solito prendere il caffè con un’amica il martedì, continua a farlo attraverso una videochiamata.
  5. Mantieni un ritmo sonno veglia regolare. Fai attività rilassanti prima di andare a dormire per aiutarti a riposare meglio e programma la giornata attivamente in modo che il corpo possa stancarsi e richiedere così il riposo.
  6. Potresti provare ansia e avere pensieri ricorrenti. Queste reazioni sono il modo attraverso cui la mente sta reagendo allo stress. Accoglile e auto rassicurati rivolgendoti a te stesso con gentilezza e amore e affidandoti alla Vita.
  7. Mangia in modo regolare e salutare. L’alimentazione aiuta a rinforzare il sistema immunitario e a preservare reazioni emotive adeguate.
  8. Rispondi al cambiamento con un atteggiamento positivo proattivo ad esempio programmando la giornata in modo da fare tutte quelle attività che non hai mai avuto tempo di fare o programmando iniziative future. Metti in campo la tua creatività per migliorare la tua quotidianità.
  9. Difficoltà di concentrazione, di memoria o nel prendere decisioni sono normali reazioni allo stress. Accoglile e sii paziente e indulgente con te stesso.
  10. Continua a mantenere le relazioni con le persone che ti fanno stare bene: questo permette di rasserenare la mente e calmare la paura.
  11. Ricordati di conversare di altro. Parlare di altro permette a mente e corpo di ricaricarsi e accedere ad emozioni piacevoli.
  12. Fai attività fisica per scaricare le tensioni e prenderti cura del tuo corpo. Appena sveglio e prima di andare a letto rotea, muovi e allunga dolcemente tutti i distretti corporei. Mentre lo fai respira facendo attenzione che la pancia si gonfi e si sgonfi con regolarità.
  13. Questo è un buon momento per accedere, ritrovare, rafforzare e consolidare la propria spiritualità ricercando un senso profondo dentro di te. La spiritualità fa parte dei bisogni fondamentali degli esseri umani ed è una risorsa potentissima per affrontare questi momenti in cui il controllo appare in parte perduto.
  14. Cerca di trovare dei modi per aiutare gli altri nei momenti di crisi ed essere coinvolto nelle attività di comunità.
  15. Racconta ai bambini la verità in modo semplice e adeguato all’età. Lo psicologo Alberto Pellai ha condiviso un racconto molto utile da leggere ai bambini che spiega il coronavirus. Questo il link per scaricare il racconto: https://www.corriere.it/cronache/20_febbraio_23/caro-bambino-ecco-perche-coronavirus-ci-fa-tanta-paura-ma-tu-non-devi-temere-13e9f8c8-5636-11ea-b447-d9646dbdb12a.shtml Video per bambini: https://www.youtube.com/watch?v=BGHwUs9ISLg
  16. Non esporre i bambini a immagini e contenuti spaventosi. Evidenzia piuttosto le notizie positive, trasmettendo fiducia.
  17. Trasmetti affetto, sicurezza e protezione. I bambini sono molto abili a decifrare il nostro comportamento non verbale e tra un messaggio con contenuto rassicurante ma tono della voce, sguardo e postura allarmate, scelgono questi ultimi.
  18. Fai in modo che i bambini possano mantenere abitudini piacevoli: gioco, attività scolastiche e movimento se possibile anche all’aria aperta.
  19. Informa i bambini che tanti professionisti molto capaci stanno lavorando per guarire gli ammalati, sottolineando gli aspetti positivi delle azioni di cura.
  20. Ogni volta che ne avrai bisogno potrai contattarmi gratuitamente a questo numero: 3342918676.
    Non aspettare che le emozioni ti soffochino, di fronte ad un trauma, l’intervento precoce e puntuale promuove risorse e previene disturbi futuri.

Sonno e disturbi del sonno: consigli utili per un corretto riposo

Il sonno è un bisogno fisiologico fondamentale per l’organismo, che influisce sullo stato di salute generale e sul benessere della persona.

Durante il sonno vi sono infatti modificazioni nel sistema nervoso centrale e negli organi interni che permettono l’omeostasi dell’organismo. In particolare il sonno assolve a numerose funzioni, tra cui: il ripristino e la riparazione di cellule nervose che durante la veglia sono state danneggiate; attraverso la produzione di glutatione vengono eliminati i radicali liberi e altre molecole potenzialmente tossiche accumulate durante la veglia; vengono prodotte molecole che servono a costruire nuove sinapsi consentendo la realizzazione della plasticità neurale; permette di consolidare i processi di memoria; le attività dell’apparato cardiovascolare sono ridotte contribuendo a mantenerlo sano; aumenta la produzione dell’ormone della crescita che contribuisce all’accrescimento e al mantenimento di una struttura fisica sana; contribuisce al corretto funzionamento del sistema immunitario; limita il rischio di sviluppo di tumori e migliora le prestazioni scolastiche, lavorative e sportive.

Un sonno alterato può invece portare a diversi sintomi quali, confusione, stanchezza, irritabilità, malessere, difficoltà di attenzione, concentrazione e memoria e interferire così con le normali attività quotidiane.

Il DSM 5 (manuale dei disturbi psichiatrici) classifica i disturbi del sonno-veglia in 10 disturbi o gruppi di disturbi: disturbo da insonnia, disturbo da ipersonnolenza, narcolessia, disturbi del sonno correlati alla respirazione, disturbi circadiani del ritmo sonno-veglia, disturbi dell’arousal del sonno non-REM, disturbo da incubi, disturbo comportamentale del sonno REM, sindrome delle gambe senza riposo e disturbo del sonno indotto da sostanze/farmaci.

Questi disturbi sono accomunati da insoddisfazione riguardo la qualità, la collocazione temporale e la durata del sonno, stress e compromissione delle attività quotidiane.

La prevalenza di questi disturbi può arrivare fino al 25% della popolazione, come nel caso dell’insonnia; mentre ancora troppo spesso questi disturbi sono sottovalutati e sottodiagnosticati anche dai medici di medicina generale.

I disturbi del sonno sono spesso accompagnati da depressione, ansia e modificazioni cognitive che devono essere prese in considerazione dal clinico per un corretto trattamento e che spesso sono conseguenza dell’alterato ritmo sonno-veglia.

E’ stato inoltre dimostrato che alterazioni del sonno possono portare allo sviluppo di malattie mentali, a disturbi da uso di sostanze, aumentato rischio di infezioni e di infiammazione, patologie cardiovascolari, obesità, ipertensione, ictus e diabete mellito.

Dormire male può essere il segnale di un disagio emotivo profondo o di un trauma o un problema che non riusciamo a risolvere, che richiede l’intervento di uno psicoterapeuta che aiuti la persona ad eliminare il malessere alla base.

E’ stato infatti dimostrato che la psicoterapia per l’insonnia ha un’efficacia pari ai trattamenti farmacologici (Wilson e coll., 2010) e, a differenza di quest’ultimo, ha effetti benefici anche nel lungo termine. La risoluzione delle cause dei disturbi del sonno, unite a tecniche di rilassamento e di mindfulness permettono l’eliminazione del disturbo e l’acquisizione di una maggiore consapevolezza di sé.

Per questi motivi è molto importante rivolgersi tempestivamente ad un professionista in grado di pianificare un corretto trattamento e rispettare alcune buone abitudini per favorire un corretto riposo.

 

 

Consigli per riposare meglio:

  1. Mantieni un orario costante del ritmo sonno-veglia: vai a letto e alzati più o meno alla stessa ora ogni giorno.
  2. Stabilisci una “routine della buonanotte”: fare più o meno le stesse cose prima di andare a dormire.
  3. Non mangiare o bere molto prima di dormire. Consuma una cena leggera almeno 2 ore prima di andare a dormire.
  4. Scegli alimenti che favoriscano il sonno. Il consumo di carboidrati e di cibi ricchi di melatonina (quali riso integrale, mais, avena e banane) promuove il sonno, mentre sarebbe meglio evitare cibi piccanti perchè potrebbero interferire con il sonno.
  5. Evita caffeina o nicotina. Entrambe sono stimolanti e possono tenere svegli. Evita di assumere caffeina per almeno 8 ore prima di andare a letto.
  6. Fai esercizio fisico il mattino o il pomeriggio.
  7. Mantieni la camera da letto fresca. Questo imita il naturale abbassamento della temperatura del corpo durante il sonno.
  8. Limita i riposi diurni a meno di un’ora e non dormire dopo le 15:00.
  9. Stai al buio e nel silenzio e non lasciare schermi accesi. Non utilizzare computer, telefono o schermi di altro tipo per almeno un’ora prima di coricarti.
  10. Usa il letto solo per dormire. Rendi il tuo letto comodo e invitante e se non ti addormenti entro pochi minuti, alzati e fai qualcosa di rilassante come leggere un libro. Non accendere nessuno schermo e torna a letto quando sei stanco.
  11. Fai una doccia o un bagno caldo prima di coricarti.
  12. Non drammatizzare. Dì a te stesso “Va bene così. Prima o poi mi addormento!”. Agitarti peggiora solo le cose.

 

Bibliografia

American Pychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition, DSM – 5. American Psychiatric Publishing (trad. it. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. DSM – 5, Raffaello Cortina, Milano, 2014).

Barone, D. A., & Krieger A. C. (2015). The function of sleep. AISM Neuroscience, 2 (2), 71-90.

Rathus, J. H., & Miller, A. L. (2015). Skills Manual for Adolescents. The Guilford Press (trad. it. Manuale DBT per adolescenti, Raffaello Cortina, Milano, 2016).

 

Wilson, S. J., Nutt, D. J., Alford, C., Argyropoulos, S. V., Baldwin, D. S., Bateson, A. N., Gringras, P. Hajak, G., Idzikowski, C., Krystal, A. D., Nash, J. R., Selsick, H., Sharpley, A. L., & Wade, A. G. (2010). British Association for Psychopharmacology consensus statement on evidence-based treatment of insomnia, parasomnias and circadian rhythm disorders. Journal of Psychopharmacology, 24(11), 1577-1601.

 

 

Adolescenti in crisi: quando preoccuparsi e quando i comportamenti fanno parte del normale processo di crescita

L’adolescenza è un periodo particolarmente critico per la crescita dell’individuo, in cui l’ obiettivo è la conquista di chi si è, attraverso la separazione e l’autonomia dai genitori. E’ un periodo in cui i genitori sono costretti a confrontarsi con dilemmi che creano una profonda preoccupazione.

Spesso il genitore si interroga se il proprio stile genitoriale sia troppo permissivo o troppo severo faticando a trovare uno stile che sia realmente efficace. Si chiede quanto favorire la dipendenza e quanto invece l’autonomia, se vengono minimizzati i problemi o se invece si esagerano i tipici comportamenti adolescenziali.

E’ importante in questo periodo, che il genitore fornisca al proprio figlio una guida e un sostegno, aiutandolo a capire come essere responsabile. Di volta in volta occorre dare GRADUALMENTE un po’ più di libertà e indipendenza, continuando allo stesso tempo a incoraggiarlo a fare adeguatamente affidamento sugli altri.

Di seguito vengono elencati dei comportamenti tipici e non tipici di un adolescente, al fine di aiutare i genitori nel corretto riconoscimento (Rathus, J. H., Miller, A. L., 2015).

Comportamenti tipici dell’adolescenza:

  1. Maggiore mutevolezza d’umore.
  2. Maggiore coscienza di sé, maggiore sensazione di agire in prima persona, maggiore attenzione al proprio aspetto fisico.
  3. Maggiore tendenza a perdere tempo.
  4. Maggiore conflittualità tra genitori e figli.
  5. Sperimentazione di alcol e tabacco.
  6. Maggiore sensazione di invulnerabilità.
  7. Difficoltoso passaggio dalle scuole medie alle superiori.
  8. Maggiore polemicità, idealismo e contestazione.
  9. Maggiore maturità sessuale; interesse e sperimentazione sessuale.
  10. Difficoltà a prendere decisioni.
  11. Maggiore desiderio di privacy.
  12. Interesse per la tecnologia e i social media.
  13. Disordine nella propria camera.
  14. Il ciclo del sonno si sposta a ore più tarde (andare a letto più tardi e svegliarsi più tardi).

Comportamenti NON tipici, per i quali è consigliabile una consulenza psicologica:

  1. Malinconie intense, dolorose e durevoli; comportamenti rischiosi dipendenti dall’umore, depressione maggiore o attacchi di panico; autolesività o ideazione suicidaria.
  2. Fobia o isolamento sociale; perfezionismo e obiettivi irrealistici; abbuffate, purghe o alimentazione insufficiente; ossessiva o trascurata igiene personale.
  3. Molteplici distrazioni che portano a non essere in grado di portare a termine compiti scolastici o progetti; mancanza di concentrazione che interferisce con le attività quotidiane; ritardo continuo agli appuntamenti.
  4. Aggressioni verbali o fisiche; fughe.
  5. Abuso di sostanze, spaccio di droghe; uso di sostanze in gruppo con coetanei.
  6. Ripetuti incidenti; scontri a fuoco; azioni eccessivamente rischiose (quali, guidare in stato di ebrezza); farsi arrestare.
  7. Rifiuto della scuola; praticare o essere oggetto di bullismo; mancanza di comunicazione con la scuola o i coetanei; bocciature, assenteismo o abbandono scolastico.
  8. Contestazione delle regole e delle convenzioni sociali; litigi con i membri della famiglia, gli insegnanti o qualsiasi atra persona che cerca di affermare la propria autorità.
  9. Promiscuità sessuale; partner multipli; pratiche sessuali non protette, gravidanza.
  10. Rimanere paralizzati per l’indecisione.
  11. Isolamento dalla famiglia; interruzione della comunicazione; mentire abitualmente e nascondere le cose.
  12. Trascorrere molte ore al giorno davanti al computer, andare su siti web pericolosi o che potrebbero innescare comportamenti a rischio; incontri casuali con partner online; rivelare troppo (ad esempio, inviare messaggi sessualmente espliciti eccedere nei particolari personali postati sui social media).
  13. Camera personale con cibo vecchio o andato a male; incapacità di trovare le cose di prima necessità; abiti sporchi perennemente sul pavimento.
  14. Restare spesso svegli tutta la notte; dormire almeno un’intera giornata durante i weekend; arrivare abitualmente in ritardo a scuola (o restare assenti) a causa del proprio ritmo sonno-veglia.

Bibliografia

Cattelino, E. (2010). Rischi in adolescenza. Comportamenti problematici e disturbi emotivi. Roma: Carocci.

Lo Coco, A., & Pace, U. (2009). L’autonomia emotiva in adolescenza. Bologna: Il Mulino.

Montecchi, F. (2019). Psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza. Percorsi terapeutici. Milano: FrancoAngeli.

Palmonari, A. (2011). Psicologia dell’adolescenza. Bologna:Il Mulino

Rathus, J. H., & Miller, A. L. (2015). Skills Manual for Adolescents. The Guilford Press (trad. it. Manuale DBT per adolescenti, Raffaello Cortina, Milano, 2016).

Urlare fa bene alla salute

L’urlo consente di liberarci da tensioni e malesseri, di fornirci energia per ottenere ciò che vogliamo e di attivare risorse interiori.

Alexander Lowen (1958; 1975) nella sua pratica clinica notò come l’uso della voce smuovesse nell’individuo ricordi e percezioni di sé e ideò una serie di esercizi corporei accompagnati dalla voce al fine di consentire l’espressione di emozioni e consapevolizzare ricordi e parti di sé rimossi.

Mario Troiano (2005) ha coniato la tecnica del Naming, in cui, attraverso l’uso della voce con tonalità affettive diverse, si facilita l’incontro della persona con il suo corpo e con la sua personalità.

L’urlo consente all’individuo di ricongiungersi con se stesso e di canalizzare la rabbia verso il raggiungimento dei propri obiettivi.

La società contemporanea invece, tende a far reprimere la rabbia, vista solo nell’accezione violenta. Così spesso accade che le persone imparino a trattenerla o a sfogarla attraverso comportamenti verbali e non verbali aggressivi. Ignorare la rabbia inoltre, porta l’individuo ad avere un atteggiamento sempre più sfiduciato verso il mondo e se stesso, ad abbattersi di fronte alle difficoltà e a sviluppare disturbi gastro-intestinali, cefalee, posture scorrette che portano a dolori e tensioni muscolari.

La rabbia invece, se usata in modo corretto, è l’emozione che ci permette di ristabilire dei confini o rimettere l’altro “a posto” quando ci manca di rispetto, ci offende o invade i nostri spazi.

In Inghilterra esiste il Tantrum Club, che propone corsi gratuiti per donne per gestire la rabbia dopo il divorzio. Durante gli incontri possono piangere, sbattere per terra mazze da cricket e soprattutto usano la voce, gridando in piena libertà. E per chi ha bisogno di uno sfogo last minute c’è anche una linea telefonica, disponibile sul sito phone-and-rant.com, dove si può urlare e poi buttare giù il ricevitore.

Ecco come un articolo di Mariangela Curtone (2019) riassume i principali effetti benefici dell’urlo per il benessere psico-fisico della persona:

  • Fa bene alla salute: urlare abbassa la pressione arteriosa. Libera dalle tossine nocive e fa acquisire il buon umore;
  • È liberatorio: urlare fa sentire leggeri perché ci rende più consapevoli di noi stessi, delle nostre emozioni e sentimenti. Questo ci permette di essere più lucidi e obiettivi. Ci guida nell’elaborazione di decisioni concrete e sagge;
  • Ci fa sentire vivi: attraverso l’urlo ci si riscopre vitali perché ci ricongiunge alla nostra parte più vera e profonda. Ci sprona ad abbattere paure e limiti;
  • Combatte la depressione: sfogando le proprie frustrazioni si esprime efficacemente il proprio dolore. Lo si riconosce e lo si affronta per scoprire meglio chi siamo e cosa vogliamo nella nostra esistenza.

Bibliografia

  • Lowen, A. (1958). The language of the body. New York Macmillan(trad. it. Il linguaggio del corpo, Feltrinelli, Milano, 2011).
  • Lowen, A. (1975). Bioenergetics. New York: Coward, Mc Carin & Georgen Inc. (trad. it. Bioenergetica, Feltrinelli, Milano, 2014).
  • Troiano M. (2005). guarire dagli attacchi di panico. Milano: Magi Edizioni.

Sitografia

www.ilgiornale.it

11 modi per coltivare le emozioni piacevoli

Secondo la psicologia positiva il benessere è un costrutto che consiste di cinque elementi: l’emozione di piacere, calore, soddisfazione, felicità; il coinvolgimento con l’esperienza, ovvero, essere un tutt’uno con un’attività che ci assorbe; il significato, che consiste nel servire o sentirci parte di qualcosa di più grande di noi; la realizzazione personale; le relazioni positive (Seligman, 2011).

Nessuno di questi elementi definisce da solo il benessere, ma tutti vi contribuiscono. Pur essendo un concetto complesso, numerosi studi hanno indagato quali fattori contribuiscono alla felicità autentica (Dalai Lama e Goleman, 1998; Rathus e Miller, 2016) e sono stati trovati metodi efficaci per incrementare le emozioni piacevoli:

1 incrementa le attività piacevoli che portano a emozioni positive e vivile in maniera piena, assaporando l’esperienza con tutti i sensi, fino a diventare l’esperienza stessa

2 inizia la giornata con una bella risata, dapprima intenzionale, fino a ridere di gusto e fino a sentire la pancia che fa male.

3 Accumula esperienze positive a lungo termine:

fai dei cambiamenti nella tua vita, in modo che gli eventi positivi avvengano più spesso. Costruisci una vita degna di essere vissuta:

  • Evita di evitare: evitare crea problemi che incrementano la fragilità emotiva. Risolvi quel problema, fissa l’appuntamento dal medico, chiarisciti con quella persona.
  • Identifica un obiettivo (ad es. ottenere un posto di lavoro), fai una lista dei piccoli passi necessari per raggiungere l’obiettivo (ad es. scrivere un curriculum) e fai il primo passo (ad es. scaricare il modulo per compilarlo).

4 Preparati il cibo con amore, come un momento per prenderti cura di te, ascoltando quello che il corpo desidera davvero. Anche se i ritmi sono frenetici ritagliati sempre uno spazio per ascoltare ciò che il corpo richiede e prepara il cibo in modo che tutti i sensi vengano ascoltati e gratificati dal pasto.

5 Respira! E mentre lo fai senti come torace, pancia e bacino si alzano e si abbassano e lasciati cullare da quel movimento.

6 Fai esercizio fisico, anche soltanto camminando. Numerosi studi dimostrano infatti che l’attività fisica riduce la mortalità e l’instaurarsi di numerose malattie, quali quelle cardiovascolari, riduce i livelli di cortisolo, responsabili dello stress e migliora la salute psichica.

7 Mantieni un ritmo del sonno equilibrato

8 prendi coscienza della tua parte spirituale e coltivala attraverso un credo religioso e comportandoti in modo coerente con i tuoi principi e valori.

9 focalizza l’attenzione su ciò che è andato bene durante la giornata.

10 coltiva la gratitudine: questo ti permette di aprire il cuore e di rafforzare le relazioni.

11 coltiva l’ottimismo e la speranza: lo stile ottimista consiste nel vedere gli eventi negativi come temporanei, modificabili e locali. Entrambi permettono di ottenere migliori risultati in tutti i campi, rispetto a chi è pessimista, ed ha effetti benefici sulla salute fisica.

Bibliografia:

Dalai Lama, Goleman, D. (1998). Le emozioni che fanno guarire. Milano: Arnoldo Mondadori.

Rathus, J. H., & Miller, A. L. (2016). Manuale DBT per adolescenti. Milano: Raffaello Cortina.

Seligman, M. E. P. (2011). Fai fiorire la tua vita. Una nuova, rivoluzionaria visione della felicità e del benessere. Torino: Anteprima.

Come liberarsi dall’ansia e dagli attacchi di panico

La paura è un’emozione fondamentale per la sopravvivenza umana, in quanto ci allerta di un pericolo e ci fornisce energie per affrontarlo o fuggire.

Quando però è continua e/o interferisce con le attività quotidiane, occorre chiederci che cosa davvero ci comunica e come fare per canalizzarla in modo appropriato. Si può distinguere l’ansia acuta dall’attacco di panico per la diversa durata e intensità dei sintomi: l’attacco di panico ha una durata limitata (massimo 15 minuti) e i sintomi fisici hanno un’intensità elevata tale per cui il corpo non può reggere un periodo di tempo lungo. Tra i sintomi ricorrenti dell’attacco di panico ci sono: tachicardia, difficoltà di respirazione, sudorazione, annebbiamento della vista, senso imminente di morte, brividi o vampate di calore, dolore o fastidio al petto, tremori, senso di svenimento.

Data l’intensità dei sintomi, questi possono portare la persona a sviluppare la cosiddetta “paura della paura”, per cui il soggetto tende ad evitare tutti i luoghi e le situazioni che possono elicitarla, isolandosi sempre più dal mondo esterno. Per questo è importante saper gestire i sintomi ansiosi, così che non interferiscano con la possibilità di continuare le normali attività quotidiane.

Di seguito vengono elencati 5 metodi per gestire l’ansia e l’attacco di panico:

  1. Mettiti in una postura aperta e rilassata, opposta a quella tipica di quando ci sentiamo ansiosi. Questo permette di inviare al cervello l’informazione che “va tutto bene” e possiamo sentirci al sicuro.
  2. Riduci la temperatura del volto: trattieni il respiro e immergi il volto in una bacinella di acqua fredda. Oppure, piegato in avanti, metti dell’acqua fredda sul volto o un impacco freddo sugli occhi o sulla fronte. Fallo per almeno 30 secondi. Trattenere il fiato immergendo il volto in acqua fredda attiva infatti il riflesso di immersione, che riduce il ritmo cardiaco e respiratorio.
  3. Fai esercizi fisico intenso: ad esempio, corri, balla, o sali e scendi le scale, fai qualsiasi movimento che crei un dispendio energetico e attivi l’organismo anche solo per un breve periodo di tempo (10-15 minuti). Questo, oltre a consentirti di consumare l’energia accumulata, consente di inviare al cervello il messaggio che il corpo si è attivato perché fai esercizio fisico e non per un pericolo, e quindi un attacco di panico.
  4. Rallenta il ritmo della respirazione (5-7 respiri al minuto): respira profondamente con la pancia e fai espirazioni più lunghe (10 secondi) delle inspirazioni (4 secondi), per circa 3 minuti. In alternativa puoi respirare dentro un sacchetto di carta così da ridurre l’iper-ossigenazione creata dall’attacco di panico.
  5. Rilassamento muscolare: contrai e rilassa ogni gruppo muscolare, dalla testa alla punta delle dita dei piedi, un solo gruppo muscolare per volta (piedi, gambe, bacino, addome, torace, spalle, schiena, glutei, mani, braccia, collo, viso, testa).

Tutti questi metodi hanno efficacia nell’immediato, ma non nel lungo termine.

Per agire nel lungo termine sul disturbo sono necessarie 3 tecniche d’intervento:

1 Training autogeno: l’ansia è un’emozione che più di tutte rappresenta l’intimo legame mente-corpo: il battito del cuore accelera, il respiro si fa affannato, la vista si annebbia, aumenta la sudorazione, insorgono problemi gastro-intestinali quali vomito e diarrea. Attraverso il training autogeno la persona viene guidata nell’ascolto del proprio corpo e nel riappropriarsi delle sue risorse. Si lavora per riportare il corpo al suo corretto funzionamento, imparando a prenderne coscienza in modo da diventare proprio alleato anziché nemico da combattere.

2 Mindfulness: l’ansia esiste come anticipazione del futuro, si nutre di aspettative, preoccupazioni. Grazie alla mindfulness la persona impara a vivere nel presente, l’unico tempo possibile. Radicarsi in quello che sta realmente accadendo permette di sviluppare i cinque sensi, le abilità di attenzione e di concetrazione, di vivere più pienamente le esperienze e di eliminare i pensieri che ci paralizzano.

3 Psicoterapia: l’ansia impoverisce l’identità e talvolta diventa l’identità stessa in cui la persona si riconosce. Spesso infatti le persone dicono: “sono una persona ansiosa”, dimenticandosi che l’ansia è solo un’emozione in cui riconoscere il bisogno che ci comunica. Occorre allora, attraverso la psicoterapia, prendere consapevolezza, ricostruire e ampliare l’identità della persona, promuovendo l’espressione di sé, il riconoscimento di pensieri e comportamenti disfunzionali e la gestione delle emozioni.

Bibliografia:

Didonna, F. (2017). Manuale clinico di mindfulness.Milano: FrancoAngeli.

Ghezzani, N. (2019). La logica dell’ansia. Empatia, ansia e attacchi di panico. Milano: FrancoAngeli.

LeDoux, J. (2015). Anxious : using the brain to understand and treat fear and anxiety. Winner of the William James Book Award(trad. it. Ansia. Come il cervello ci aiuta a capirla,Raffaello Cortina, Milano, 2016).

Schultz, J. H. (1966). Das autogene training. Georg Thieme Verlag, Stuttgart (trad. it. Il training autogeno. Metodo di auto distensione da concentrazione psichica, Feltrinelli, Milano, 1968).